Inauguriamo una nuova rubrica, in questo spazio del nostro diario dedicato ad argomenti che ci piace approfondire. L’abbiamo chiamata L’italiano senza Crusca, e qui è Salvatore De Siena a dire la sua!

“Quando parlo e sento parlare mi chiedo quanto sia cambiata la lingua che parlavo da bambino e di chi sia la lingua, della Crusca o dei parlanti. Quanti di noi parlando, e anche scrivendo, si sono chiesti come si dice e come si scrive quello e quell’altro, e c’è anche chi non se lo chiede affatto… Da qui l’idea provocatoria di immaginare l’italiano sregolato, senza crusca, per vedere l’effetto che fa, come avrebbe detto Enzo Jannacci. Per cui in questa rubrica affronteremo per gioco i vari problemi del linguaggio per capire dove sta andando l’italiano e, perché no, dove vorremmo che andasse.

Un primo argomento “caldo” di cui intendo parlare è quello della declinazione al femminile di alcune professioni. Prendo spunto dal recente libro “Femminili singolari” di Vera Gheno, sociolinguista nonché collaboratrice storica dell’Accademia della Crusca, per fare il punto della situazione. In pratica da diversi anni ci si chiede come debbano chiamarsi le donne che svolgono certi ruoli o professioni. Sindaca o sindaco, architetto o architetta, ingegnere o ingegnera? E cosi via.

Condivido pienamente la tesi dell’autrice secondo la quale la declinazione dei nomi al femminile possa nel suo piccolo contribuire a dare dignità alle donne e a rendere la società meno maschilista. Ed in effetti le parole che usiamo sono importanti perché per il loro tramite costruiamo, disfiamo (per me si dire) e ricostruiamo la realtà. Quindi, chiamare una donna avvocata o ministra significa riconoscere non solo il suo ruolo (basterebbe il maschile) ma anche il fatto che sia una donna a svolgerlo.

Sostiene Gheno (non uso l’articolo…) che non vi sia alcuna regola di italiano che lo vieti. Infatti, nella lingua italiana troviamo già tanti nomi di lavori declinati al femminile come ad esempio operaia, infermiera e postina. E allora perché infermiera si e architetta no?  I detrattori di questa tesi (comprese tante donne) sostengono vari argomenti per opporsi tra cui il fatto che le donne non hanno bisogno di queste elemosine per valorizzare il proprio lavoro e perché comunque la versione femminile dei nomi sarebbe cacofonica, in pratica brutta…

Non mi sembrano argomenti convincenti in quanto se le donne rivendicano di essere chiamate al femminile vuol dire che il problema della dignità esiste e poi perché le parole vengono usate per i bisogni che soddisfano e non per la loro musicalità che è materia riservata alla poesia…

Ad uno sguardo storico appare chiara la sostanza del problema. Non c’entra niente la lingua e la bellezza delle parole. Semplicemente contadina, operaia ed infermiera,  esistono perché storicamente le donne hanno fatto questi lavori e nessuno si è posto il problema della declinazione femminile. Ora hanno iniziato a svolgere attività da sempre riservate agli uomini ed è naturale che si stia sentendo l’esigenza di declinarle al femminile.

Solo che adesso si fa un disperato tentativo di resistenza perché questo tema è stato sostenuto prevalente dalle femministe e da ambienti di sinistra (a titolo esemplificativo ricordo la battaglia della Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini). Insomma si è politicizzato negativamente un tema che invece riguarda tutta la società e la capacità della sua lingua di adeguarsi ai cambiamenti sociali e culturali. Persino la severa Accademia di Francia, fondata nel XVII secolo dal Cardinale Richelieu, da sempre contraria ai nomi femminili, di recente ha riconosciuto che “non esiste nessun ostacolo alla femminilizzazione dei nomi di mestieri e professioni e che tutte le evoluzioni miranti a far riconoscere nella lingua il posto oggi riconosciuto alle donne nella società possano essere ammesse”. A meno che non si voglia sostenere che il riconoscimento della declinazione femminile va bene solo quando le donne svolgono lavori umili e non anche quando interpretano ruoli apicali. E forse questo è il vero cuore del problema …”

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